Ode alla Valchiria

“Dalla volta celeste profondamente osservi,
Valchiria,
Impetuosa e devota, inviata dagli Asi
Per accogliere i migliori Guerrieri
Caduti in battaglia.
Sola, vaghi alla ricerca di anime degne,
Valchiria,
Angelica figura, donna vestita d’acciaio
E dalle ali di cigno.
Valchiria,
Il tuo avvento è l’ultimo sorriso di un Guerriero,
Che attende speranzoso il suo ingresso
Nelle Sale di Odino.
Valchiria,
Sei Luce in un mondo di tenebra,
Speranza laddove l’ignoto avanza,
Spiraglio di Verità nel cuore di chi ha paura.”

  • Nagra Demaria

L’Olmo e la Ninfa

Immagine dal Web

Una melodia gitana s’accompagnava al vento d’autunno, che spirava tra le fronde degli alberi in procinto di abbandonarsi all’inverno.
Un ruscello scorreva limpido fra le radici di un rigoglioso olmo, egli si nutriva in quel corso d’acqua.
Una Ninfa emerse in superficie, traslucida nella luce del tramonto che, infrangendosi sulla sua pelle fatta di rugiada, irradiava mille colori.
Occhi acquosi fissavano l’immenso albero, le mani diafane si aggrapparono sulla corteccia per issarsi sulle radici e sedervisi.
Appoggiò l’orecchio sul tronco e chiuse gli occhi.
Avvertiva la linfa scorrere, i tarli e gli insetti che instancabilmente scavavano le proprie tane, il suono di un picchio verso la chioma.
L’albero era vivo, imperturbabile.
Nel suo immoto presenziare, sembrava non fregiarsi della presenza della Ninfa, che nuda e selvaggia si appisolò, fidandosi di quel nascondiglio, dell’incavo che le radici avevano creato quasi appositamente per lei.
Non si avvide, quando il sonno divenne profondo, di un fremito dell’olmo. Le foglie presero a vibrare, qualcosa nell’acqua pareva tremare.
Il picchio volò via, i tarli smisero di rosicchiare.
Nel cuore dell’incontaminata foresta l’olmo si mosse, e nel farlo modellò le viscere della terra, causò tremori e oscillazioni, spaventò gli animali che si cibavano attorno a lui.
La Ninfa di nulla s’accorse, non servirono i richiami degli uccelli e i mulinelli dell’acqua per svegliarla, niente riuscì a destarla da quella profonda sonnolenza.
Una radice s’inarcò, abbandonando la terra fertile per incombere piano piano su di lei.
Vi fu un istante in cui tutto si fermò.
Come intimorita, l’intera foresta trattenne il respiro, in attesa. Era forse giunta la fine per quella povera Ninfa del fiume?
La radice dell’olmo strisciò su di lei fino ad avvolgerla. Quasi fosse un caldo abbraccio, una stretta di amicizia.
Allora si destò la Ninfa.
Non le servirono spiegazioni, non aveva bisogno di capire.
In quel breve letargo aveva intuito già tutto.
“Mi stai chiedendo di non andare via. Vuoi che sia io a nutrirti d’ora in avanti.”
Non vi furono risposte dall’albero, solo un lieve frusciar di foglie.
Con un sorriso, la Ninfa si accoccolò di nuovo in quel nascondiglio fatto di radici e ivi permase, per lungo tempo nutrì il suo Olmo, ricevendo in cambio ali per volare in un mare di stelle.