Ode alla Valchiria

“Dalla volta celeste profondamente osservi,
Valchiria,
Impetuosa e devota, inviata dagli Asi
Per accogliere i migliori Guerrieri
Caduti in battaglia.
Sola, vaghi alla ricerca di anime degne,
Valchiria,
Angelica figura, donna vestita d’acciaio
E dalle ali di cigno.
Valchiria,
Il tuo avvento è l’ultimo sorriso di un Guerriero,
Che attende speranzoso il suo ingresso
Nelle Sale di Odino.
Valchiria,
Sei Luce in un mondo di tenebra,
Speranza laddove l’ignoto avanza,
Spiraglio di Verità nel cuore di chi ha paura.”

  • Nagra Demaria

L’Olmo e la Ninfa

Immagine dal Web

Una melodia gitana s’accompagnava al vento d’autunno, che spirava tra le fronde degli alberi in procinto di abbandonarsi all’inverno.
Un ruscello scorreva limpido fra le radici di un rigoglioso olmo, egli si nutriva in quel corso d’acqua.
Una Ninfa emerse in superficie, traslucida nella luce del tramonto che, infrangendosi sulla sua pelle fatta di rugiada, irradiava mille colori.
Occhi acquosi fissavano l’immenso albero, le mani diafane si aggrapparono sulla corteccia per issarsi sulle radici e sedervisi.
Appoggiò l’orecchio sul tronco e chiuse gli occhi.
Avvertiva la linfa scorrere, i tarli e gli insetti che instancabilmente scavavano le proprie tane, il suono di un picchio verso la chioma.
L’albero era vivo, imperturbabile.
Nel suo immoto presenziare, sembrava non fregiarsi della presenza della Ninfa, che nuda e selvaggia si appisolò, fidandosi di quel nascondiglio, dell’incavo che le radici avevano creato quasi appositamente per lei.
Non si avvide, quando il sonno divenne profondo, di un fremito dell’olmo. Le foglie presero a vibrare, qualcosa nell’acqua pareva tremare.
Il picchio volò via, i tarli smisero di rosicchiare.
Nel cuore dell’incontaminata foresta l’olmo si mosse, e nel farlo modellò le viscere della terra, causò tremori e oscillazioni, spaventò gli animali che si cibavano attorno a lui.
La Ninfa di nulla s’accorse, non servirono i richiami degli uccelli e i mulinelli dell’acqua per svegliarla, niente riuscì a destarla da quella profonda sonnolenza.
Una radice s’inarcò, abbandonando la terra fertile per incombere piano piano su di lei.
Vi fu un istante in cui tutto si fermò.
Come intimorita, l’intera foresta trattenne il respiro, in attesa. Era forse giunta la fine per quella povera Ninfa del fiume?
La radice dell’olmo strisciò su di lei fino ad avvolgerla. Quasi fosse un caldo abbraccio, una stretta di amicizia.
Allora si destò la Ninfa.
Non le servirono spiegazioni, non aveva bisogno di capire.
In quel breve letargo aveva intuito già tutto.
“Mi stai chiedendo di non andare via. Vuoi che sia io a nutrirti d’ora in avanti.”
Non vi furono risposte dall’albero, solo un lieve frusciar di foglie.
Con un sorriso, la Ninfa si accoccolò di nuovo in quel nascondiglio fatto di radici e ivi permase, per lungo tempo nutrì il suo Olmo, ricevendo in cambio ali per volare in un mare di stelle.

Smarrirsi

Immagine presa dal web

Una notte senza luna ammantava il cammino della minuscola creatura intenta ad avanzare sul sentiero di quel bosco tetro, senza luce. Alti abeti sempreverdi e sempiterni s’innalzavano solenni, protendendosi fino al cielo scuro.
Incurante delle condizioni avverse, la piccola Gelfling* proseguiva senza sosta, mai fermandosi… Neppure quando, uditi tetri rumori nel folto delle fronde, il cuore sembrò cessare di battere nel petto.
La paura l’attanagliava, ma le sue gambe erano instancabili.
Avanti, sempre avanti… Finché accadde l’inevitabile.
Un fruscio e un grido che squarciò il silenzio della notte presagirono il planare di una bianca civetta, che al confronto della minuta Gelfling appariva maestosa e minacciosa.
Si fermò di fronte a lei e per un istante la fatata fanciulla credette di assistere al suo ultimo respiro.
“Perché fuggi, figliola?” Tuonò la civetta.
Superato un istante di terrore, di esitazione, la Gelfling si ritrovò padrona della propria voce.
“Ho smarrito la strada… E la notte è pericolosa. Desidero solamente lasciarmela alle spalle.”
“La notte è spaventosa solo per quelli che non comprendono il Buio.” Replicò il rapace, osservandola con quei grandi occhi sfavillanti, occhi vacui eppure incredibilmente penetranti.
La piccola Gelfling avvertì un fremito nelle viscere, sentì che il suo corpo tremava come una foglia secca su un albero in pieno autunno.
“Desideri mangiarmi?” Sibilò.
La civetta non rispose.
“Se è questo il mio ultimo istante, voglio almeno dirti chi sono e dove vorrei andare.”
Il capo ricoperto di candide penne del rapace ruotò, in quella tipica e innaturale posa che la distingueva.
“Te lo concedo.”
La Gelfling tirò un sospiro, e cominciò.
“Per tutta la vita ho cercato una strada che mi conducesse verso il mio destino… Ma ogni volta che penso di averla trovata, qualcosa mi distrae, mi distoglie dall’obiettivo ultimo finendo per rallentare sempre più la mia corsa. Cavalcando l’entusiasmo verso le novità, pecco di curiosità quando mi soffermo sui dettagli a bordo strada, che talvolta sarebbe bene ignorare, lasciarsi alle spalle. Dimmi, saggia civetta, come può essere questo un percorso felice? Davanti a me scorgo solamente caos e buio, conditi da qualche contentezza passeggera ed effimera. Arriverà mai il momento in cui riuscirò a percepire l’esistenza a piene mani?”
Vi fu silenzio.
“… Ma che importa, ormai? Presto sarò nella tua pancia. Il mondo per me cesserà. Se penso che così potrei avere pace, non mi sembra un brutto epilogo, in fin dei conti. Dovrei quasi ringraziarti.”
Un nuovo fruscio, la nobile civetta dispiegò le ali e protese gli adunchi artigli verso la piccola Gelfling.
Il vento spirò tutt’attorno, i piedini smiserò di avvertire il suolo sotto le scarpe, e il cielo divenne l’intero universo.
La foresta intricata divenne un dettaglio infinitamente piccolo.
“Vedi, dolce creatura? E’ tutta questione di distanze. Più osservi gli ostacoli dalla giusta lontananza, più essi non paiono più così insormontabili… e ti rendi conto di quanto siamo minuscoli, in confronto alle leggi della natura.”
La civetta planò al di sopra di ogni cosa, trattenendo docilmente la Gelfling tra le zampe.
“Un giorno ti guarderai indietro e ricorderai le fatiche passate, senza più averne paura. Perché il tuo cuore sarà forte abbastanza.”
Tra le nubi, il bagliore di una stella.
“Ti porterò oltre il bosco, dove i sentieri sono in piano e il Buio non è così tetro. Da lì in poi, ti toccherà proseguire di nuovo da sola… Ma sono certa che riuscirai. In effetti, il tuo cuore è già pronto.”

*Citazione liberamente ispirata a: The Dark Crystal

La rondine

Art by Gill Bustamante

Una rondine si posò su un ramo e quando le foglie secche scivolarono a terra, fece capolino la figura di una piccola fata.
Sedeva all’estremità del ramo e pareva ella stessa un fiore prossimo a cadere preda dell’inverno. Splendido il suo viso, ottenebrato dal vuoto che mostravano i suoi occhi.
“Ecco un’altra creatura che sta per salutare il mondo fino alla primavera”, disse la rondine.
La fata la guardò e sorrise, seppure non vi fosse traccia di felicità. “Tu volerai in luoghi caldi e lieti, mia cara amica. Volerai instancabilmente fino all’estremità del mondo e sarai felice”
“E tu? Non sei felice, piccola fata?”
“No”, fu la risposta.
La rondine si lisciò docilmente le penne con il becco affilato e quando drizzò la testa non ebbe attenzioni se non per la sofferente creatura.
“Cosa non ti rende felice? Hai forse smarrito la strada di casa? Sei sola?”
“Sì, sono sola ma non ho smarrito la strada. E’ questo mondo che tenta di tutto affinché io non trovi mai la direzione giusta”, disse la fata. “Per voi rondini la vita è diversa. Voi sapete che quando arriva il gelo, dovete partire. Sapete dove andare, sapete quando tornare. Deponete le uova, accogliete il periodo degli amori come un rituale e la vostra esistenza prosegue”
“Per le fate non è forse lo stesso?”, chiese curiosa la rondine.
“No”, disse la fata. “Vedi, c’è chi pensa addirittura che le fate non esistano”
“Non diciamo sciocchezze!”
“Eppure è così”, riprese l’affranta creatura. “Siamo troppo piccole e indifese per essere viste e ascoltate, la nostra magia è troppo buona e pura per poter curare tutti i mali del mondo. Siamo sole e dimenticate”
Il freddo vento del nord spirò sulle fronde dell’albero, altre foglie si gettarono nel loro ultimo volo prima di toccare terra e rimanervi prive di vita. S’intersecò fra le penne della rondinella e scarmigliò i capelli di seta della giovane fata.
“Mi guardo attorno e vedo solo tanta fatica: è difficile portare le scorte fino alla tana, è difficile incontrare altre fate… è difficile persino riflettere” riprese la fata. “Vorrei essere come te: dotata di ali più forti in grado di portarmi dall’altra parte del mondo”
“E io vorrei essere come te” replicò la rondine. “Incapace di lasciarmi tutto alle spalle, pronta ad affrontare quello che è scritto nel destino. Sei più forte di quanto credi, dolce fata e quello di cui tu hai bisogno adesso è soltanto un po’ di riposo. Vedrai, anche tu sarai felice e il sole splenderà sul tuo volto”
“Come fai a saperlo?” domandò la fata, con le lacrime agli occhi.
La rondine fischiettò. “Lo so perché a differenza di tutti, noi rondini crediamo nelle fate e sappiamo che senza di esse il mondo sarebbe più triste e grigio. Siete voi a donare scintille di magia agli occhi di chi guarda il cielo”
Vi fu silenzio, infine la fata guardò la rondine. “Non voglio che tu te ne vada”
“Fa parte del mio destino” fu la pacata risposta. “Ma tornerò”
“Da me?”
“Da te.”
Per la prima volta, il sorriso della fata toccò i suoi occhi e un bagliore di speranza si accese nel profondo del suo animo.
La rondine le asciugò le lacrime e spiccò il volo, senza voltarsi, continuando a cantare la sua melodia finché non scomparve oltre l’orizzonte.
L’autunno era arrivato, sarebbe trascorso un lungo inverno fatto di freddo e solitudine, ma la fata sapeva che sarebbe stata questione di pazienza… che presto o tardi, la primavera sarebbe tornata insieme alla sua rondinella.

Clangori

Art by Pascal Campion

Mi sono seduta nel buio e ho ascoltato il mio silenzio.
E chi pensa che il silenzio non faccia rumore, non ha mai vissuto l’irrequietezza.
Sono questi momenti sospesi, la testa è affollata di pensieri che vorticano e turbinano senza sosta.
Il cuore pulsa forte, costretto a sopportare ogni sensazione come se fosse un macigno.
Non ci sono parole per descrivere il mio caos interiore, né persone in grado di capire.
Io, soltanto io, posso tessere nuovamente le fila dalla mia stessa trama, comprendermi fino in fondo, ritrovare i pezzi di stoffa che compongono la mia immagine e ritornare ad avere una forma.
Sono sia l’ago che il filo.
Ho bisogno di chiudermi per poi riaprirmi, è sempre stato così e non smetterà di esserlo, poiché ogni volta ritorno più forte di prima, più completa, più consapevole di quello che mi circonda.
Risalgo dal vortice della speranza con la sapienza dei saggi e in quell’attimo io non sono altro che stelle e galassie pronte a modellarsi in nuovi pianeti. Sono in comunione col tutto e non c’è nessuno che possa distogliermi dal mio cosmo.
Ma per ritornare al di sopra del giudizio, ho bisogno di attraversare anche i sentieri più tormentati dell’animo, valicare i confini del saputo e interrogarmi, cercare di capirmi.
Sto chiedendo aiuto a me stessa, perché su questa pelle avverto più di quanto vorrei.
Sento la grandissima necessità di rinsavire, di distogliermi da ciò che mi crea agitazione, dal clangore di questa mia silenziosa battaglia interiore, benché non sia affatto semplice.
Forse perché mi fa sentire viva, mi investe di colori ed emozioni fino ad accecarmi.
Ma devo riottenere la vista.
Ci riuscirò?

La Poiana

Una Poiana gridò.
Nulla poteva sfuggire alla sua vista minuziosa, in grado di scorgere anche il più piccolo dettaglio sulla Madre Terra.
Ella planò.
Il vento spirava sulle ali rapaci, permettendole di scivolare oltre le nuvole.
Sospesa, incurante del vuoto sotto di sé.
Non provava timore.
Era nata per volare libera.
La Signora dei Cieli.
Osservava il mondo da quell’altitudine imprendibile, invincibile. Poteva vedere chi si accorgeva di lei, piccoli esseri umani il cui ingegno non bastava per fermarla.
Spirito Guida per gli animi perduti.
Il suo grido come un monito, e una promessa.
Quella promessa.
Guardò negli occhi la donna che la cercava fra le correnti e le brezze, oltre le fronde, sopra ogni cosa; sopra tutto il resto… infine lasciò che l’Aria stessa la trasportasse altrove.
Laddove sarebbe stata libera per sempre.

Resistere

È nell’infinito abisso del Caos che la persona paziente diventa un punto saldo.
Quando la marea s’innalza ed è difficile resistere alla tentazione di lasciarsi andare e annegare nel torbido delle proprie paure, è lì che un raggio di Sole può fare la differenza.
Riesce naturale, fa parte dell’essere così… benché questo significhi sprigionare una grande energia e arrivare alla fine della giornata senza forze.
È un vortice, una tempesta di informazioni, gesti, sguardi, azioni, pensieri, parole, significati… talmente tanti da non poterli realizzare, così fugaci da non poterli afferrare.
Volti, occhi, mani che s’incrociano, si sostengono, si additano a vicenda nella continua ricerca di stabilità e il ritorno a una normalità che non sarà mai la stessa di prima.
Mi esalta e mi opprime: adoro la novità e il pensiero che questa ondata prima o poi finirà, mi fa pregustare l’amarezza della routine.
Eppure, mi guardo attorno e vedo soltanto il terrore verso questi cambiamenti, verso l’ignoto che si dipana di fronte a noi. Forse sono troppo giovane, probabilmente non sono ancora in grado di comprendere, ma nel mio piccolo vorrei continuare a mantenere questo spirito di adattamento che più di ogni altro sa salvarmi da qualsiasi situazione.
Confido nella forza interiore, nel mio essere come sono.
I giorni si susseguono, rapidi e lenti allo stesso tempo e la mia testa fotografa gli istanti e li imprime come marchi, rendendoli indelebili.
C’è sempre qualcosa che mi colpisce, ovunque io vada e qualsiasi cosa faccia; e ovunque e qualsiasi sono destinati poi a perdersi nei meandri della memoria e del pensiero, astratti come il fumo di una candela ormai spenta.
Seguo la corrente del mare solcando le sue onde, mantenendomi a galla come se fossi su una tavola da surf, e leggiadra mi innalzo al di sopra del comune pensiero, assorbo le emozioni e le converto in potere, nell’energia che mi fa proseguire.
La mia testa non è in grado di rimanere ferma: studiare, apprendere, realizzare e capire sono il pane della mia vita e questo non cambierà, nonostante la mia anima inafferrabile come il vento, come l’acqua che s’infrange sul bagnasciuga e ritorna nell’oceano.
Non c’è nulla che mi spaventi adesso, se non l’idea della tristezza che susseguirà l’intensità dei giorni che sto vivendo, quando gesti, sguardi e Vita vissuta saranno lontani, chiusi in un cassetto colmo di ricordi.

Dove porta la strada?

E’ una vita difficile, te ne do atto.
Ci sono cose che non possiamo prevedere, che quando accadono ci lasciano spiazzati, senza forze, come degli assetati dopo un lungo viaggio in una terra arida e priva di umanità.
Sei riemerso da quel deserto senza più un nome, ti sei guardato attorno e ti sei reso conto che gli orizzonti non erano più come quelli che vedevi durante il viaggio. Le strade erano differenti da quelle conosciute in passato.
Spaesato, non sapevi dove andare. Forse non lo sai tuttora.
Sono momenti della vita che non puoi evitare, né aggirare: puoi soltanto andare avanti, cercando di accusare al meglio i colpi dell’esistenza, ricreando la scorza, rifiorendo piano piano.
I fiori più belli impiegano diverso tempo per svilupparsi, ma soprattutto hanno bisogno del Sole.
Vorrei essere per te i raggi tiepidi che ti riscaldano lo stelo e le foglie, vorrei cingerti con il mio calore nei giorni in cui tutto ti sembra buio e piovoso. Senza la pretesa di essere importante, o la superbia di essere migliore; semplicemente esserti accanto per assorbire il veleno che ti ha fatto inginocchiare.
Tu non devi prostrarti a nessuno, il Mondo è tanto vasto e colmo di infinite mète, non è ancora il tempo per fermarsi.
Ho sempre pensato che il cammino di ognuno sia individuale. Non vi sono vie che confluiscono o si incrociano, ma vi sono periodi della vita nei quali abbiamo l’occasione di marciare al fianco di un’altra strada. A volte poi si dividono, dopo giorni, mesi, a volte anni. A volte non si dividono più.
Nessuno di noi può prevedere per quanto tempo i nostri passi ci condurranno nella stessa direzione, so solo che mi piacerebbe donarti i miei raggi ancora per un po’.
Se tu me lo permetterai.

14.11.2022
Non me lo hai permesso.

Non passi mai

I giorni passano e la vita cambia, anche le emozioni sono diverse da quelle che sentivo tempo fa, in me si sono smossi sentimenti che hanno stravolto l’animo fino a metterlo in discussione. Eppure è incredibile, ineccepibile, insensato come tu riesca a sopravvivere. All’inizio era quasi fiabesco, un traboccare di amore puro e grezzo, come una gemma appena estratta. Fragile, insicuro ma pieno e totale. Ero innamorata, non c’era nessuno nella mia testa se non tu. Solo tu.
Tu, freccia scagliata da chissà quale arco, sei penetrato fino in fondo a quest’animo irrequieto e ricco di insicurezze, paure e incubi. Ero alla deriva anche se mi nascondevo dietro a un sorriso, alla solarità tipica di chi ha visto molto, forse troppo, e non ancora abbastanza.
Ero così. Una signorinella energica e vivace, con un passato di lacrime alle spalle. Tu l’hai visto. Tu hai capito. Mi hai raccolta, anche se non ti sei accorto di averlo fatto. Mi hai tenuta fra le tue mani alla pari di un pettirosso dalle ali spezzate.
Le tue parole erano balsamo. Le tue attenzioni erano qualcosa di più, mi concedevano il lusso, sebbene per pochi attimi, di sentirmi apprezzata e voluta. In qualche modo, amata, ma forse ho sempre e solo travisato o pensato con più fervenza di quanto lo abbia mai fatto tu. Per te probabilmente non sono mai stata così importante, anche se poi credo di esserlo diventata. Perché mi volevi con te, vicina, anche per mansioni stupide, senza fondamenta. Mi chiamavi anche quando potevi sbrigartela da solo.
Un caffè, poi un altro. La promessa di prenderlo era diventato un ponte tra di noi, che collegava pensieri ed azioni, intenzioni. Mi guardavi con occhi che sapevano rendere tutto migliore. Se c’eri tu, sapevo che sarebbe andato tutto bene, nonostante la fatica o la noia. C’eri tu, tanto bastava.
Adesso il mio pensiero è maturato. Non ci sei solo tu al centro del mio mondo. Ho scoperto di poter essere felice anche senza di te. Eppure continui ad essere una costante. Perché se non ti vedo sento la tua mancanza.
Mi piaci. Adoro quando mi raggiungi solo perché vuoi parlarmi, e intavoli discorsi che partono dai primordi per giungere ai giorni nostri. Sei una pergamena che srotola passo dopo passo un’antica leggenda e mi osservi, mi sorridi come solo tu sai fare. Sai che ti voglio bene, sei cosciente di questo amore che continuo a provare, anche se non gli ho mai dato questo nome di fronte a te.
Non te l’ho mai detto ma è così, ed è talmente forte da aver valicato i confini dell’ovvio e del saputo. È ciò che non potrò mai darti in carne ed ossa, perché la vita non ci ha concesso di vivere in un tempo che andasse bene ad entrambi. Il tuo cammino è già avviato, il mio è appena cominciato, ma questo non significa che l’amore non possa radicarsi.
Il mio è radicato per te, palpita dentro al cuore, che trema ancora quando fai capolino dall’uscio, quando mi sorprendo nel vederti, quando ti trovo seduto al tuo posto e non altrove. Quando mi dai la conferma di esistere e di essere lì, quando mi abbracci d’improvviso o mi stringi la mano. Quando ti attardi con me, quando esiti quell’istante in più nel seguire altre persone pur di salutarmi.
Quando torni indietro per baciarmi prima di andare via, i tuoi baci sulle guance che non significano nulla e che tuttavia non dai agli altri. Quando ti zittisci un momento, come se volessi aggiungere qualcosa di prezioso, ma tutti i motivi ti impediscono di farlo e allora te ne vai, strizzi l’occhio e sorridi con quel fare tipico che hai, di sfida verso il mondo.
I tuoi occhi come il mare sono infiniti nel loro orizzonte, sei senza tempo e pieno di grazia cristallina, hai il dono di capire.
So che il tuo affetto è sincero, so che è un bene prezioso, un tesoro che intendo custodire e tenere stretto, perché è grazie a te se non sono crollata, se sono ancora in piedi e con il sorriso, se sono pronta a fronteggiare il futuro. Forse non al tuo fianco, ma con te sempre nel cuore.

Orizzonti

Art by Pascal Campion

Se c’è una costante che mi accompagna lungo il cammino, sono i cambiamenti. Nel corso dell’esistenza ne ho subiti parecchi… nell’animo, nei pensieri, nel cuore.
Eppure, ora più di prima, sento che c’è qualcosa di diverso dal solito, perché ciò che mi ha segnato è profondo.
La morte di un genitore ferisce, scava dentro di te, ti spiazza e ti rende debole contro i tuoi stessi pensieri.
Ero molto legata a mio padre.
Nonostante il carattere duro, da vichingo, possedeva un magnetismo che sapeva unire.
Creava un collante, era lui la motivazione per cui sentivo di dover andare in determinate direzioni. La scuola, il tipo di lavoro.
Ho sempre cercato di essere una figlia modello, consapevole del suo giudizio da padre, da guida, da saggio. So anche di averlo reso orgoglioso, di averlo deluso a volte, ma mai fino a raggiungere il culmine dell’intolleranza.
Io ero il suo tesoro, il fiore all’occhiello.
E’ grazie a lui se mi chiamo Nagra; un nome così raro e così crudo alla pronuncia, che nessuno si è ancora azzardato a tramandarlo alle proprie figlie.
Mi rende unica, mi rende completamente sua. Chissà in quale frangente lo scoprì, chissà per quale motivo lo scelse.
So solo che gli piacque così tanto da conferirlo a me.
A distanza di quasi due anni dalla sua scomparsa, capisco di non avere più gli stessi occhi di prima.
Io stessa sono più saggia, a volte anche malinconica, ma è giusto così.
Una ferita, prima che diventi cicatrice, deve sanguinare almeno un po’… Talvolta, non guarisce del tutto.
Questa sarà una cicatrice molto lunga, che segnerà ogni anfratto del mio cuore.
Nonostante questo, ho ripreso a vivere. Ho deciso di reagire, di riottenere l’energia per muovere il corpo, le viscere.
Sono tornata a splendere più forte di prima, perché nella mia luce c’è lui, il cui ricordo illumina le mie giornate e la via da percorrere.
Con dignità, sollevo il mento verso l’avvenire e inizio a intravvedere obiettivi che un tempo credevo improbabili o impossibili: ho sempre lottato per la mia indipendenza, ma mai come adesso.
Ora è il momento del salto di qualità, l’attimo in cui posso spiegare finalmente le mie maledettissime ali da farfalla, che riposano nella crisalide da tanto, troppo tempo.
Voglio ottenere ciò che desidero e lo voglio fare da sola, con le mie forze e la consapevolezza che non sarà una passeggiata.
Ce la farò.
Ci vorranno mesi di duro lavoro, di speranze, di sacrifici, ma riuscirò a valicare la porta di una casa che sarà la mia.
Riuscirò a svegliarmi al mattino in un ambiente che sarà mio.
Una tana, un inizio, un destino.
Il mio Destino.